Ci vuole un villaggio
Per crescere un figlio ci vuole un villaggio, dice un detto africano che non a caso è applicabile anche a quel prolungamento del nord Africa che è il sud Italia.
Il mio villaggio, a parte la mia famiglia, è stata la Cooperativa Aquilone, questa sorta di Christiania in salsa irpina, un involontario esperimento sociopolitico nato come spin-off del Pci di Avellino dove un gruppo di compagni di partito all’inizio degli anni 80 si è costruito una palazzina appena fuori dal centro, lievemente crepata dal Terremoto dell’Irpinia dell’80 prima ancora che ci andassimo a vivere– chiara premonizione dell’imminente fine del suddetto partito a cui per fortuna la Cooperativa Aquilone è sopravvissuta -, con un grande giardino e alberi di nocciola tutt’attorno. Dall’ultimo giorno di scuola fino al primo dell’anno scolastico successivo quel giardino era il nostro campo estivo e quei comunisti erano il nostro villaggio.
Passavamo il tempo a spaccarci la testa sulle panchine del giardino, a giocare a pallavolo in due squadre scelte dai due più alti– io venivo sempre scelta per ultima - ad allevare gatti e cani randagi che regolarmente venivano abbandonati sulla soglia del nostro condominio buonista, dando per scontato che da bravi comunisti ce li saremmo accollati per principio. Fanny, Pelo, Jack. E poi Ruud, Blondì, Luna. Decine di cani e gatti e VENTICINQUE bambini. Rapporto numerico tra bambini e adulti-controllori: zero. Ogni tanto qualcuno dal balcone verificava che non si fosse aperta un’altra testa sulla panchina e ci urlava qualcosa come nella pubblicità di Egoiste, affacciandosi a turno.
Caliria: dovete togliere questa rete da sotto il mio balcone!!
Laura: Mirkoooooooo, Morenaaaaaaa
Franco: Vi butto un secchio di acqua ghiacciata addosso se non vi stat’ zitt’.
Rosalba: Tittiiiiiiiiii
Mamma: Adriààà tieni delle sigarette?
Caliria: Se non fate smettere di abbaiare questi cani li avveleno tutti. (Caliria era socialista).
Pupetta: Fabio, Chiara, Ninni salite a mangiareee
Insomma il villaggio ci ha fatto rigare più o meno dritti fino all’età della diaspora dei figli, quella che ha lasciato nella cooperativa Aquilone solo dei vecchi che forse non si definirebbero neanche più comunisti, ma che sono rimasti per fortuna buonisti.
Credo che per questi vecchi amici che si fanno compagnia da 40 anni sia stato più facile che per altri genitori veder partire i loro figli. Credo che la loro organizzazione di mutuo soccorso sia stato il loro modo dii tenersi per mano ogni volta che qualcuno andava a trovare la prole a chilometri di distanza e di assicurarsi che nessuno, da quel viaggio, sarebbe tornato ad un nido vuoto.
Quando i miei vengono a Barcellona, Ennio li accompagna all’aeroporto, Adriana annaffia le piante e compra la frutta fresca per quando torneranno, Annamaria cucina il pranzo di tre portate per il banchetto del rientro, Maria Grazia gli fornisce assistenza sanitaria e soprattutto psichiatrica telefonica a distanza 24 ore su 24 e Franco - temutissimo professore di matematica e scrittore di gialli - invia a mamma ogni sera via whatsapp un suo resoconto delle puntate di Un Posto al Sole che si è persa.
Perché anche per lasciare andare un figlio ci vuole un villaggio (di veri comunisti).
Il giardino è rimasto vuoto per un po’ di anni, finché non sono arrivati i figli dei figli a rompere il cazzo a turno e rendere nonni tutti quei vecchi comunisti.
Tutti sono nonni di tutti.
Quando io sto per ripartire per Barcellona capita che si riaffaccino ai loro balconi come 30 anni fa, per salutarci da su. Licia e Rosalba lanciando buste intere di caramelle per le nipoti. A volte corre a salutarci persino il cane di Caliria.
It takes a village
To raise a child it takes a village, according to an African saying that -no coincidence - also applies to that extension of North Africa called Southern Italy.
My village, besides my family, it’s been the Cooperativa Aquilone, this kind of irpinian version of Christiania, an accidental sociopolitical experiment born as the spin-off of the Communist Party of Avellino where a group of party colleagues that were also friends in the early 80s built a block of flats just outside the city centre - cracked by the Irpiniia’s famous earthquake before we could even move in - premonition of the end of that party to which, thankfully, the Cooperativa Aquilone survived - with a big garden and surrounded by hazelnuts trees.
From the last day of school to the first of the next year that garden was our summer camp and those communists were our village.
We used to spend time cracking our heads open on the benches in the garden, playing volleyball split in two teams, selected by the 2 tallest amongst us - I was always the last chosen - to raise cats and dogs that were regularly abandoned at the gate of our do-good condo, taking for granted that we, good ol’ communists would have adopted them as a matter of principle. Fanny, Pelo, Jack. And then Ruud, Blondì, Luna. Dozens of dogs and cats and TWENTY FIVE kids. Children/carers ratio: zero. Every now and then someone from a balcony would check that no one had cracked his head again and would shout something at us like in the Egoist commercial, peering out of the window in turns.
Caliria: you need to take down this volleyball net from under my balcony!
Laura: Mirkoooooooo, Morenaaaaaaa
Franco: I’m gonna shower you with a bucket of freezing cold water if you don’t shut up!
Rosalba: Tittiiiiiiiiii
Mamma: Adriààà have you got any cigarettes?
Caliria: If you don’t stop these dogs from barking I will poison them all. (Caliria was a socialist).
Pupetta: Fabio, Chiara, Ninni food is readyyyy.
Anyway, the village made us toe the line, more or less, until the age of the children’s exodus, when the Cooperativa Aquilone became home only to old people that wouldn’t even call themselves communists anymore, but that stayed do-gooders thankfully.
I believe that for these old friends that kept each other company for 40 years it’s been easier than for other parents to see their children leave. I believe that their mutual aid organisation is their way of holding each other’s hand every time one of them goes to visit the faraway offspring and to ensure each other that nobody, from that trip, will go back home to an empty nest.
When my parents come to Barcelona, Ennio drives them to the airport, Adriana waters their plants and buys fresh fruit for when they get back, Annamaria cooks a three curses for their welcome back meal, Maria Grazia provides health and mental assistance on the phone 24/7 and Franco - once feared math professor and thriller novelist - every night sends to my mum a recap of “Un posto al sole” episodes that she missed.
Because it takes a village (of real communists) also to let a child go away from you.
The garden stayed empty for a while, until the children of the children arrived to mess around and make grandparents all those old communists.
All are grandparents to all.
When I leave to go back to Barcelona sometimes they come on their balconies like 30 years ago, to say goodbye from up there. Licia and Rosalba throw bags full of sweets for their granddaughters. Sometimes even Caliria’s dog comes down to say goodbye.