Via Nazionale, Londra.
Ciao Daria.
Ciao Jane.
Spero che il cane non vi stia disturbando.
Ma che sei matta?
No, è che ci sono tre volpi che lo stanno facendo impazzire e abbaia. Pare che due siano cuccioli di volpe e che la notte vadano a saltare sul trampolino di Giovanna.
Jane e Giovanna sono le mie vicine di casa. Hanno lo stesso nome, ma una è inglesissima e bionda e l’altra è italianissima e mora. Hanno la stessa casa di tre piani, ma divisa diversamente, una alla mia destra, l’altra alla mia sinistra. Lo stesso giardino, con l’erba chiaramente più verde della mia. E tre figli maschi ciascuno, che passano dal mio giardino poco verde per giocare assieme e saltare sul trampolino di Giovanna, quando non ci saltano le volpi.
Io Giovanna e Jane siamo, in scala, una rappresentazione della popolazione di questa stradina di case basse che collega la radical chic Queen’s Park infestata da bonissime yummy mummies e irsuti hipster, alla super popolare Kilburn High Road – ribattezzata dai miei amici napoletani via Nazionale per via delle bancarelle di pezze, cianfrusaglie e cibo in scatola scaduto – dove se passa un hipster ne fanno carne da kebab.
Sulla mia strada, in realtà, c’è anche Cecile che è francese, Jonathan che è israeliano con la moglie americana, c’è Mariam che è egiziana, c’è la mamma di Oren che è greca e ci sono tre scuole musulmane piene di bimbi somali. Ma c'è soprattutto una piccola Italia che mi ricorda ogni giorno da dove vengo.
Quando esco la mattina ad accompagnare Mia all’asilo incontro Giusy, di Caserta, che va a lavoro da “Buono”, il bar italiano dove faccio colazione. Ha freddo anche ad agosto, e va in giro con la felpa col cappuccio, la sciarpa e i leggings. <Ma come fai a stare in pantaloncini e infradito? Sei in menopausa?/Sei pazza?/Non senti il vento che ci taglia la faccia?/Non soffri di cervicale?” mi dice alternativamente.
Poi incontro Giovanna, quella del trampolino, che sta potando le sue rose sull’ingresso di casa e di solito bestemmiamo insieme in casertano-avellinese perché i nuovi inquilini del piano sopra al mio non hanno ancora capito come fare la raccolta differenziata e ci appestano i bidoni della munnezza. Oppure perché loro sono giovani e fanno i party e noi che siamo vecchie li subiamo. <E comunque uno di loro è di Milano eh> ci ricordiamo con tono accusatorio.
Poi vedo Zadie (Smith) che pedala o corre per Brondesbury Park con uno dei suoi turbanti in testa. <Uè ciao Zadì>, che lei tanto parla italiano.
Al bar Buono i proprietari sono tre ragazzi, Francesco di Pomigliano d’Arco che è amico di un mio amico-fratello di Pomigliano d’Arco; Gianleo che è di Salerno e ha fatto un corso di diritto insieme a mia sorella Au ad Avellino, e Francesco di Bari, che è andato al liceo con la mia amica del cuore omonima e barese Daria. <Fatti offrire un caffè che sembri una disperata> mi ha detto stamattina.
Alla cassa del supermercato Tesco a volte c’è Buddi che è dello Srilanka ma ha vissuto 8 anni a Roma e quindi parla come er Monnezza: <Aò aaai finito er potty training? Mi fijo c’ha 4 anni e ancora non ne vole sapé>. Nella lavanderia dall’altra parte della strada c’è Tony, che è albanese, ma parla l’italiano meglio di mia figlia e che mi dice sempre <Eh, ma questa macchia non lo so se riesco a levarla> proprio come tutti i lavandai italiani con cui ho litigato nella mia vita.
All’asilo, un'ora dopo l'ingresso dei bambini non-italiani, ci trovo di solito Paco e Gianfranco, due Italian husband con cui ho creato il comitato dei genitori in ritardo, di cui andiamo abbastanza orgogliosi. Paco è di Napoli e ha una moglie ugandese, Caroline, che parla italiano e napoletano, Gianfranco di Milano con una moglie inglese <Oh ma tu che ci metti nel lunch box? Qui vedo che ci mettono tutti il sandwich, io ho fatto la pasta e patate. Avranno dei piatti in cui servirla?>. Questo è un campione delle nostre conversazioni.
Insomma, certi giorni se non incontro la povera Jane col suo cane che abbaia, come è successo oggi, non sento parlare inglese fino alle 17.30, quando vado a riprendere mia figlia e mi chiede ICE SCREAM!!_TIW
Napoli road, in London
Hello Daria.
Hello Jane.
I hope the dog is not bothering you.
Are you crazy?
Oh good, it is just that there are three foxes that are driving her insane and she keeps barking at them. There are two baby foxes. Did you know they go jumping on Giovanna’s trampoline at night?
Jane and Giovanna are my neighbours. They have the same name. One is very British and blonde and the other is very Italian and brunette. They have the same three-story house, divided in a different way, one on my right, the other to my left. The same garden, both with greener grass than mine, of course. And three sons each, who pass through my garden to play together and to jump on Giovanna’s trampoline when foxes are not jumping on it.
Me, Giovanna and Jane are, in scale, a representation of the population of this little street of low houses, that links the radical chic Queen's Park infested by hot yummy mummies and hairy hipsters, to the super popular Kilburn High Road - renamed by my Neapolitan friends as via Nazionale (a street in Naples) because of the street stalls, junk food shops and expired canned legumes - if an hipster were to passes by, he will probably become kebab meat.
On my road there is also Cecile who is French, Jonathan from Israel with his American wife, Mariam that is Egyptian, Oren’s mum that is Greek and there are three Muslim schools full of Somali children. But most importantly there is a little Italy that reminds me, every day, where I come from.
When I take Mia to nursery in the morning I meet Giusy which is from Caserta and works in Buono where I have breakfast. She is cold even in August, and goes around with the hoodie on, a scarf and leggings. “How can you be in shorts and flip-flops? Are you in menopause? Are you crazy? Can’t you feel the wind blaze cutting your face? Don't you suffer from cervical pain?" She says every time.
Then I meet Giovanna, who is pruning her roses in her front garden. We usually swear together, in a Caserta-Avellino dialect, at the new tenants on the floor above mine that have not yet figured out how to recycle and make our rubbish bins stink. Or maybe they (young) have just had a party and we (old) didn't cope very well with it . <One of them is from Milan uh> we remember accusingly.
Then I see Zadie (Smith) cycling or running around Brondesbury Park with one of her turbans on her head. <Uè ciao Zadi> it's ok, she speaks Italian.
Buono is owned by 3 Italian guys, Francesco from Pomigliano d'Arco, who is a friend of a dear friend from Pomigliano d'Arco; Gianleo that is from Salerno and attended a law class with my sister Au in Avellino, Francesco from Bari that went to high school with my friend Daria that I met in Milan: <Let me buy you a coffee, you look desperate> he told me this morning.
At the till, in Tesco, sometimes there is Buddi from Srilanka that has lived in Rome for 8 years and speaks like er Monnezza (roman dialect): <Aò, have you finished potty training? My son is 4 and still doesn't get it>. The dry cleaner across the street is Tony's, who is Albanian but speaks Italian better than my daughter. <Well I cannot guarantee that this stain will be removed though> he always says like all the Italian dry cleaners I have argued with my whole life.
One hour after the non-Italian kids enter nursery, I usually meet Paco and Gianfranco at the gate, two Italian husbands with whom I created the committee of late parents . Paco is from Naples and has a Ugandan wife, Caroline, that speaks fluent Italian and neapolitan dialect, Gianfranco from Milan with an English wife: <Listen, what the hell do you put in the lunch box? I noticed that here everybody puts sandwiches. I made pasta with potatoes, do you think they will have dishes to serve it?> This is a sample of our conversations.
Well, some days if I don't meet poor Jane with her barking dog, I do not get to speak English until 5:30pm, when I go to pick up my daughter and she says: ICE SCREAM!!_TIW