Lingua Madre
Mia ha iniziato un diario.
“Brava! E in che lingua lo scrivi ammamma?”
“In inglese… Scusa mamma”.
Mia ha ormai l’età della coscienza e mi chiede giustamente scusa. Sa che il fatto che abbia scelto come prima lingua una lingua (per me) straniera mi fa incazzare.
Una lingua è molto di più di una lingua. E’ il modo in cui chiamiamo il mondo. Il modo in cui lo vediamo. Dicono sia anche il modo in cui lo sogniamo.
Ricordo quando tornai dalla mia prima esperienza all’estero, nel 1996. Avevo appena compiuto 18 anni e prima di partire un mio professore mi disse: una lingua la possiedi davvero solo quando inizi a parlarla anche nei sogni.
Non so se mi feci suggestionare o cosa, ma dopo due settimane immersa nelle foreste della Germania iniziai a sognare in tedesco.
Oggi di quella lingua ricordo a fatica delle frasi smozzicate: "Ich möchte nach hause (gehen?)", in compenso sono costretta per questioni geo-familiari a parlare altre lingue straniere tutto il giorno. Inglese con marito: “What’s wrong?” e cane: “Sit, sit, I said sit down!”, spagnolo con i vicini: “Hola Maria, gracias por la lechuga”, a scuola delle bambine dove: “Buenos dias, que tal?” dico ai genitori che incontro quando le accompagno, anche se tutti mi rispondono “Adios” e quindi mi sa che qualcosa ancora mi sfugge.
Ma nei sogni no, nei sogni parlo solo in italiano. E con le mie figlie.
“Non c’è bisogno di chiedermi scusa ammamma, lo so che l’inglese è più facile, ma tu in che lingua sogni?”
Questo mio piccio infantile sulla lingua viene da lontano, temporalmente parlando, e da vicino, sentimentalmente parlando. Credo sia una delle mie battaglie personali nel nome di mia madre.
Fino ai 2 anni di età Mia e Viola non parlavano quasi per niente italiano, nonostante me, i nonni, la zia. Soprattutto nonostante quella nazionalista di mia sorella e nonostante mia madre, italianista integralista, professoressa d’italiano, monolingue (a parte il dialetto), in sintesi paladina risoluta della, di nome e di fatto, Lingua Madre.
“Traduciiiiii” mi urlava mamma quando Mia e Viola duenni le parlavano in inglese.
“Non capisco un cazzo, che sta dicendo?” si offendeva.
“Dovete parlarmi in I-TA-LIA-NO” diceva alle nipotine contro le quali aveva intrapreso un’offensiva linguistica a colpi di libri della Pimpa e filastrocche di Rodari.
Oggi Mia e Viola parlano italiano. A volte papà si complimenta persino per un vocabolario forbito, come quando Viola dice “ho appreso” o “letteralmente”, senza sapere che in realtà fa solo dei calchi dallo spagnolo o dall’inglese.
Più che dai libri, credo che abbiano imparato l’italiano dalle canzoni trappane che mia sorella gli faceva ascoltare, “Muovi al tempo la mano, sono il tuo Capitano” e dalle canzoncine senza senso che mamma cantava per loro.
“Farfallina rossa e bianca vola vola vola, mai si stanca”.
“Lola, cosa impari a scuola? Manco una parola, sai di Charleston”.
“Sette le scodelle sulla tavola del re, dentro cosa c’è solo un chicco di caffè”.
Ma anche “Bang bang, io sparo a te, bang bang, tu spari a me”.
Le cantiamo ancora, prima di andare a dormire.
“Io sogno in tutte le lingue, ma quando sogno nonna parlo sempre in italiano” mi ha risposto Mia, forse per farmi contenta.
E io che mamma non l’ho ancora sognata, ci voglio credere e nell’attesa canto con loro. Perché alla fine una lingua è molto più di una lingua da usare in un diario o nei sogni. E’ anche il modo in cui rivivi i ricordi ad occhi aperti. E’ trovare le parole per dire quello che senti, ma anche ricordare le parole che ti hanno fatto sentire amata.
“Ninnananna mamma tienimi con te, nel tuo letto grande solo per un po’. Una ninnananna io ti canterò e se ti addormenti mi addormenterò.”
E’ come tornare a casa.
Mother Tongue
Mia started a journal.
"Great! What language do you write it in?"
"In English. Sorry mum."
Mia is now at the age of conscience and rightly apologises to me. She knows that the fact that she chose a (for me) foreign language as her first language pisses me off. A language is much more than a language. It is the way we call the world. The way we see it. They say it is also they way you dream it.
I remember when I came back from my first experience abroad in 1996, when I had just turned 18, and before I left, a teacher told me: you only really own a language when you start speaking it in your dreams.
Today, I can hardly remember a few mangled sentences of that language: "Ich möchte nach hause (gehen?)", but on the other hand I am forced by geo-familiar issues to speak other foreign languages all day long. English with husband: "What's wrong?" and dog: "Sit, sit, I said sit down!", Spanish with neighbours: "Hola Maria, gracias por la lechuga", at the girls' school where: "Buenos dias, que tal?" I say to the parents I meet when I drop them off, although they all reply "Adios" and so I guess something still eludes me.
But not in my dreams, in my dreams I only speak in Italian. And with my daughters.
"There is no need to apologise to me Mia, I know English is easier, but what language do you dream in?”
This childish whim of mine about language comes from afar, temporally speaking, and from very close by, sentimentally speaking. I think it is one of my personal battles in the name of my mother.
Until they were 2 years old, Mia and Viola spoke almost no Italian, in spite of me, her grandparents, her aunt. Above all, despite my nationalist sister and my mother, a fundamentalist Italianist, teacher of Italian, monolingual (apart from dialect), in short, a resolute champion of the Mother Tongue, in name and in fact.
"Translate!!!!” She would shout at me when Mia and Viola, aged two, spoke to her in English. "I don't understand a fucking word, what are they talking about?" she would take offence.
"You have to speak to me in I-TA-LIA-NO," she would tell her granddaughters against whom she had embarked on a linguistic offensive by means of Italian storybooks and Rodari's nursery rhymes.
Today Mia and Viola speak Italian. Sometimes my dad even compliments them on their polished vocabulary, as when Viola says 'ho appreso' or 'letteralmente', not knowing that in reality she is only copying from Spanish or English.
Rather than from books, I think they have learnt Italian from those cheap songs my sister would play: “Muovi al tempo la mano, sono il tuo Capitano” and from nonsense rymes that Mum used to sing to them.
'Farfallina rossa e bianca vola vola, mai si stanca'.
“Lola, cosa impari a scuola? Manco una parola, sai di Charleston”.
“Sette le scodelle sulla tavola del re, dentro cosa c’è solo un chicco di caffè”.
But also “Bang bang, io sparo a te, bang bang, tu spari a me”.
We still sing them, before going to sleep.
"I dream in all languages, but when I dream of Grandma I always speak in Italian," Mia replied, perhaps to make me happy.
And I, who still haven't dreamt of Mum, want to believe it and while I wait for her I sing along with them.
In the end, a language is much more than a language to use in your journal or in your dreams. It is also the way you relive memories with your eyes open. It is finding the words to say what you feel, but also remembering the words that made you feel loved.
“Ninnananna mamma tienimi con te, nel tuo letto grande solo per un po’. Una ninnananna io ti canterò e se ti addormenti mi addormenterò.”
It's like a journey home.